TESTI CRITICI SELEZIONATI

CARLO MUNARI

Prefazione al catalogo della mostra alla Galleria Schettini, marzo 1972

Sullo spazio bianco inteso come spazio psichico Cristiana Isoleri inscrive le connotazioni di una vicenda interiore, di una vicenda, cioè, rivissuta dall’io profondo, dove l’esperienza esistenziale si tramuta in vibrazione remota, in occulta risonanza: l’eco di un eco destinata tuttavia a emergere all’improvviso come presenza viva e obbligante. Per cui è opportuno considerare ciascun dipinto come momento particolare di quella vicenda, un momento che, se a livello di immagine risulta compiuto, è peraltro matrice di quello successivo, in quanto istituzionalizzato in ordine morfologico del tutto estraneo agli schemi della conoscenza sensibile e obbediente per contro agli impulsi fondi e segreti si da divenirne puntuale trascrizione. Questa considerazione non induca il lettore al fraintendimento, a ritenere la Isoleri una seguace dell’action painting. Se inizialmente ella si concede all’insogenza istintuale, è altrettanto vero – e palese – che si volge poi al governo intellettuale dell’immagine al fine di rilevarne i dati più idonei a far da veicolo alla comunicazione, a renderli anzi di plastica evidenza. La legittimità formale di questi dipinti consiste infatti nel loro stesso rigore strutturale, ch’è quanto dire nella facoltà dell’artista di assegnare una « durata » a ciò ch’era oscura larva, indistinto spettro. Condizione primaria, aggiungerei, per una agevevole lettura; condizione, dunque, che permette di porre meglio a fuoco queste opere, per averne compiuta intelligenza: sopratutto per capirle come proiezioni di una storia privata che diventa metafora di una storia collettiva. Infatti, poste l’una accanto all’altra, queste immagini illuminano, passo a passo, un itinerario che, da un iniziale contesto di situazioni conflittuali, tende verso una prospettiva liberatoria, verso un catartico equilibrio. Si dovrà osservare a questo punto che i mezzi espressivi sono dalla Isoleri precisamente approntati: identificandosi essi nell’allucinate tensione che si innerva nelle stesure argentee. Abbaglianti emblemi del monstrum tecnologico che opprime e violenta la qualità umana; nelle contrapposte, o intersecantisi, stesure auree che all’opposto simboleggiano quella qualità, superstiti eppure resistenti segni di un Eden disperatamente difeso, di un Eden anche aggredito dai reticoli che lo cingono in una prigione di insidie e talora lacerato dai rossi, le ferite dell’angoscia e del dolore; ma identificandosi altresì, in altri dipinti, negli azzurri e nei verdi che adombrano una emergente speranza, una fede ancora oscura, eppure tenace, nel riscatto: dipinti quest’ultimi, carattrizzati da un ritmo più lento, propendente verso la stasi e liricamente accentuati. Nonostante un passato fitto di esperienze artistiche, Cristiana Isoleri ha atteso lunghi anni prima di esibire pubblicamente le proprie opere. Più che un ritorno, questa mostra registra una nuova presenza. Da guardare con fiducia, da seguire con attenzione.

ROBERTO SANESI

Introduzione al catalogo della mostra alla Galleria dello Scudo di Verona, 1972

Non è semplice riferire, giudicando, quale sia non dico il risultato – visibile – ma il procedimento (le suggestioni, le decisioni, i dubbi necessari, le interferenze talvolta autonome del gesto, delle materie) scoperto o volontario, o d’istinto, della pittura di Cristiana Isoleri, perchè sembra negarsi, ad un primo contatto, a troppo ovvie metodologie, a dipendenze, a quei riferimenti “storici”, o anche soltanto sentimentali, o d’ambiente, che tanto spesso costituiscono il comodo punto d’avvio per un discorso critico. Certo si possono reperire elementi dall’apparenza incontrovertibile, delimitare zone di ricerca, tentare accostamenti di sensibilità, si tempi di tendenze. E dunque non si potrà sottovalutare il lungo esercizio plastico alla scuola di Marino Marini, ne dimenticare il sodalizio di quegli anni con Cavaliere, Sangregorio, con gli amici di Brera e del Giamaica prima versione (la sola autentica) da Dova a Crippa, da Baj a Peverelli, e la volontaria, e perciò si suppone naturale, disposizione all’espressione concreta, fattuale della scultura, e successivamente quasi un’insofferenza verso questo mezzo, fino al completo abbandono, per una “dimensionalità” diversa, forse sentita come più diretta, o più libera d’uno scavo magico, astrattizzante, d’indole psicologica: quella del colore. Ma annodare i fili trarne conseguenze logiche, di fronte a un quadro della Isoleri appare operazione sbrigativa. E tuttavia nel mosaico vi sono tessere significative. L’uso del colore, di per sè, non è che raramente pittoricistico, e quando corre il rischio di un’eleganza in realtà non desiderata l’inganno sorge da un accostamento, da una serie di sovrapposizioni; che si direbbero, in ogni caso, tentate non a finalità d’effetto emozionale, superficile, ma di stacco di piani in uno spazio dato. E i colorii, infatti, si mantengono in una gamma assai limitata: nero, oro, grigio, argento (predominanti con emergenze di rosso) con la tendenza a non darsi come colori, ma come materie; ed è il caso degli inserti a collage di carte, plastiche, stagnole, in improvvisi rilievi rugosi. Colori, a ben guardare, da patina per bronzi, gessi, ferri, con le loro luci e zone d’ombra, opacità e levigatezza a contrasto, per accentuare un vuoto, o una masssa, per accennare un dinamismo plastico. Ma chi si offre allo sguardo per piani, di taglio, anche se colature e slabbrature (per altro controllate mai casuali) li restituiscono come frammento, squarci, reperti, talvolta intuibili come “paesaggi” , in qualche modo noti sebbene indefinibili, esplosi o disfatti che siano; oppure: qualcosa come un rapprendersi di materia organica (facciamo pure della letteratura) la cui drammaticità non ha spento la primitiva bellezza. Ed è nella contrapposizione di questi due elementi, lo sfarsi dell’immagine in coaguli imprecisabili, e l’inevitabile riferimento prezioso delle materie, che acquista un senso l’ambigua operazione della Isoleri. Significante perché consapevole, ambigua perché mai disgiunta da una forte tensione emblematica. E non del tutto risolta, ma nel senso del non completo appagamento dei risultati raggiunti se la Isoleri, come ho visto, sta lavorando al recupero tecnico di certe sue intuizioni che la condurrebbero a un nuovo equilibrio tra slancio e ragione; ed operazione legittima, ed in molti casi sostenuta, sopratutto là dove il suo “informale” di base (e di temperamento) riesce a comporsi su un’intenzionalità chiarita e controllata. Il che farebbe supporre più vicina agli interessi della Isoleri non tanto una gestualità indiscriminata, o un certo lirismo informale di tipo canonico, quanto la limpida lezione (anche tattile) di un Fontana. Pur restando il suo mondo dominato dalla coscienza di una frattura che la divide fra un’inevitabile verità oggettiva, da vivere, e il desiderio di una quiete estetica, da contemplare, già nelle opere più recenti si nota un abbandono delle soluzioni più semplici per eventuale accumulo di di risonanze (qui unicamente affidate a uno scatto, a un bagliore talvolta impercettibile), una maggiore nettezza e apertura d’immagine (una massa unica un “fuoco” che si carica per opposizione spaziale), un minore compiacimento per certi toni di per se disposti a limitare la propria incidenza in gradevoli metafore visive, e infine – ed è fondamentale- un più accentuato rigore compositivo.

MICHEL TAPIÉ

In occasione della mostra all’International Center of Aesthetic Research di Torino, novembre 1974

Passer de la forme Humano-euclidienne aux espaces multivalentes avec une intuition artistico-esthétique où liberté, richesse et qualitativement est une aventure merveilleuse pour un artiste de maintenant: Cristiana Isoleri est normalement à la “puissance” structurelle de l’art en devenir, et nous propose un contenu essentiellement panthéiste qui se doit de nous enchanter.

MICHEL TAPIÉ

In occasione della mostra alla Galleria Arben-Art di Zurigo

Esthétiquement parlant, notre ère post-dada se normalise autrement par déductions intuitives sinon formelles venant du fait d’être d’un nombre d’oeuvres d’art heureusement devenues telles dans ces quelques trente derniéres années. Apres les messages d’intuitions passionnées de Wols et Pollock et ceux axiomatiquement décidés de Serpan et Donishi, des artiste comme Cristiana Isoleri, dont la sensibilité intuitive a normalement changé de puissance, preposent non moins normalement qu’autrement des enchantements artistiques aux “Amateurs d’art” totalement dignes de ces nom, dans le constant dépassement des reconditionnements d’une autre psyco-sensorialité esthétique.

ALBERICO SALA

Il giorno, 13 ottobre 1976

Parola e segno felice corrispondenza

Liriche di Sandro Penna nello specchio dei fogli di Cristiana Isoleri

… Un incontro eccezionale ci sembra quello tra Sandro Penna e Cristiana Isoleri sui fogli sempre impeccabili dell’editore Vanni Schweiller: “L’ombra e la luce”. Sette inediti del poeta e sette acque forti. La Isoleri confessa che le liriche di Penna “hanno provocato” le sue tavole, confortate da una trepida confidenza col poeta. L’Isoleri è milanese, già vicina ad Alik Cavaliere e Achille Funi. La scultura è stata il suo primo impegno; dal 1964 è passata alla pittura, pittura materica, di rilievi e ricalchi che istituisce un “continium” con la sua precedente esperienza. Nelle acqueforti del libro (stampato da Giorgio Upiglio) le qualità di rigore e d’eleganza (che possono far pensare all’universo silente di Spacal) spiccano con una forza straordinaria: l’alto magistero si congiunge con l’invenzione e la meditazione in uno spazio di tracce e di colori, in cui la suprema parola di Penna risuona “Quando diventano più bianchi i marmi/dei ponti, e sul verde del fiume si accendono i primi/ fuochi, l’anima non sa se le parole…”.

ROBERTO SANESI

International New Art Oggi, maggio 1975

Le immagini organizzate di Cristiana Isoleri

Il mondo espressivo di Cristiana Isoleri, fortemente caratterizzato, da sempre, da una sorta di abbandono informale ad elementi visivi desunti dalla natura (in senso interpretativo, e di simbolo, più che nel senso di una descrizione diretta), non aveva forse ancora raggiunto soluzioni così dichiarate, significative, bloccate in immagini apparentemente non casuali pur nella loro libertà referenziale come quelle che non esito a definire “organizzate” (e il termine non sembri eccessivo nei confronti di un procedimento compositivo che resta avverso alla razionalizzazione) attorno ad alcuni testi contemporanei. Al di là della evidente perizia tecnica di queste incisioni, del gusto per una materia di corrosioni e corruzioni, indice di una sorta di intensità negativa dell’analisi e della restituzione del dato naturale se non naturalistico che ne costituisce la fonte, e che lascia supporre un atteggiamento pànico, un interesse elementare al senso segreto del ciclo nascita-morte-rigenerazione (senza necessità di supporti culturali, RAMO D’ORO, leggende o verità etnologiche, ecc.) ciò che preme notare è la corrispondenza che viene ad instaurarsi con i testi scelti, i quali finiscono col rappresentare una chiave di lettura assai coerente del lavoro della Isoleri.

Giustamente l’artista, preoccupata non tanto di descrivere quanto di affiancare, per tonalità e materie, il significato di alcune poesie che potessero costituire l’esemplificazione di un lavoro parallelo, ha evitato testi dai contorni troppo marcati, e li ha cercati in zone culturali dove più sensibile, per motivi di tradizione o perfino di paesaggio, sussiste viva una forma di indagine che coinvolge sensualità e trasposizione emblematica, dove la logica ineccepibile del ragionare si manifesta, senza perdere in esattezza, attraverso accumulazioni o stravolgimenti visionari. Nella tradizione anglosassone, per esempio, con Nathaniel Tarn, che riprende in termini nuovi una tematica antichissima. O nel clima tropicale latino-americano con Luis A. Fernandez, in cui al suggerimento paesaggistico si innesta un’autentica vocazione surreale. E potrebbero fare eccezione, per provenienza, Seghers e Simongini, se le loro poesie, nel contesto culturale di appartenenza, non fossero a loro volta eccezioni: mentre in Jakimovskij, macedone, si può notare una curiosa, inattesa propensione allo spettrale, con tale allusioni a significati di ciclicità rigenerativa da rendere il suo testo, come gli altri, perfettamente accettabile in rapporto alle intenzioni. Nello scambio reciproco fra testi e immagini, nel gioco di rimandi, nella stessa differenziazione che si stabilisce fra l’inevitabile “razionalità” della parola e la magmatica allusività del colore, alla quale si affida l’artista, la Isoleri perviene ad una unità di fondo indubbiamente notevole.

ACHILLE BONITO OLIVA

Avanti, Milano, 12 febbraio 1980

L’arte degli ultimi anni è stata caratterizzata da una pratica interdisciplinare dei vari linguaggi, per cui l’immagine spesso si è accompagnata alla parola, sconfinando dalla propria cornice specifica per approdare in un luogo franco dove non esistono più limitazioni o categorie artistiche. Spesso anche la letteratura ha affrontato tale sconfinamento. Un felice esempio ne è la pubblicazione di una cartella, edita da Vanni Scheiwiller di Milano, con poesie di Rafael Alberti, acqueforti di Cristiana Isoleri ed una introduzione di Sebastiano Grasso. Rafael Alberti, poeta spagnolo e noto antifranchista vissuto a lungo in Italia per la sua opposizione al regime spagnolo, appartiene a quella generazione di intellettuali che ha fatto dell’arte una pratica del dissenso civile. Amico di Garcia Lorca e di altri poeti spagnoli, Alberti ha sempre spinto la sua poesia verso il canto civile, senza mai perdere di vista il nucleo esistenziale dell’uomo, senza mai alienare la sostanza individuale del soggetto poetante. Anche questa cartella testimonia della coerenza del poeta ed introduce la sorpresa di alcune acqueforti che accompagnano i versi. L’autrice e Cristiana Isoleri, che ha realizzato una sorta di controcanto visivo, una scansione di segni che hanno una loro pregnante autonomia. Le tavole si susseguono con ritmi alternati, corrispondenze visualizzate di uno stato d’animo, quello del poeta, che intende celebrare l’alternanza della propria condizione esistenziale, abbinata al trascorrere delle stagioni. Sebastiano Grasso, in toni fini ed intelligenti, con una scrittura acuta e nello stesso tempo densa, sottolinea la specificità della poesia di Alberti e la concordanza tra parola e ritmo visivo. Le tavole della Isoleri hanno una loro pregnanza visiva che nasce dalla capacità di impaginare un segno allusivo e leggero dentro il tessuto del colore, appena accennato eppure emergente e squillante. Il fondo ci ricorda i muri di Tapies, grande artista spagnolo, con le sue superfici che fanno da supporto ai segni resi in profondità oppure appena graffiati ed enunciati con delicatezza. La profondità del segno, dato in maniera altalenante evoca le diverse tonalità del canto poetico, il paesaggio della voce recitante dal mormorio del lamento all’urlo della disperazione universale. Tutte le condizioni della poesia sono visualizzate nelle acqueforti della Isoleri, che riesce a fissare sulle sue tavole i cicli della vita con le sue impennate e le sue cadute. Spesso il segno si incrocia, assume la posa di una sosta, per subito di nuovo impennarsi in volute e sospensioni che danno allo spazio dell’immagine un’apertura, una dimensione senza gerarchie, senza più alto nè basso. Uno spazio che corrisponde alla circolarità del canto poetico che non conosce soste o punti obbligati. L’idea del graffito è il sintomo di una manualità artistica che prova i propri assalti e i propri assedi allo spazio dell’immagine, con toni che restituiscono una mentalità dell’arte come respiro primario; In definitiva questa cartella supera la circostanza della sua pubblicazione e testimonia come sia possibile operare all’incrocio di più linguaggi espressivi. Immagini e parola, canto poetico e controcanto visivo, si fronteggiano in un duetto che ci dimostra come l’arte sia una pratica corale.

WANDA LATTES

La Nazione, Firenze, 3 aprile 1980

Alberti e l’amor ferito

“Amor querido/amor/sin querer c’mo me has herido/ amor… Amor que eres ya mi vida, amor, amor/…”

I versi di Rafael Alberti, risvegliano gli echi del cuore, del sentire: vengono in mente i trobadores romanzi, nel loro girovagare senza sosta, nella loro ricerca non angosciosa di un approdo naturale dello sguardo, della mano, del canto. Ricordate Jaufré Rudel? Amours de tierra londana-/par voz totz lo cor mi duol. Amore di terra lontana, per causa tua tutto il cuore mi duole, diceva mille anni fa il trovatore. E adesso il poeta spagnolo sembra riprendere il filo d’oro del sogno che resta intatto nella vita degli uomini e ne gioisce ancora una volta “Caro amore/ amore/senza volerlo quanto mi hai ferito…” La difficoltà di parlare di poesia, resta sempre enorme, che si rischia ad ogni occasione di cadere nel compiacimento verboso di quanto è stato detto già e meglio. Ma vale la pena di rompere l’abitudine al silenzioso distacco, per annunciare la presentazione oggi alle sei, per bocca di Mario Luzi e Marcello Vannucci, di una cartella di poesie di Rafael Alberti, tradotte da Sebastiano Grasso con seria aderenza. Al Grasso, cultore di ispanistica e di poesia, si deve anche la prefazione. Alle poesie di diversa lunghezza ma di uguale fascino, fanno riscontro tre acqueforti preziose, commoventi, di Cristiana Isoleri, rispondenti in misura quasi incredibile al messaggio lanciato dai versi. Di rado un linguaggio visivo fatto di macchie di colore e di segni intersecanti, riesce a completare la parola così, come avviene per esempio nella Canzone dell’amore ferito, arabesco, ritmo, cantilena canzone degli angeli. Arabesco le parole, e arabesco l’incisione rotta da quell’inaspettato segno rosso di gioia e di dolore, da quel quadratino d’oro di felicità. Insomma la cartella che si presenta stasera alle 18 a Firenze alla Galleria Michaud è stata edita da Vanni Scheiwiller con cura inappuntabile, ma anche con la gran fortuna di chi riesce ad accoppiare tre personaggi eccezzionali: il poeta, la pittrice, il traduttore. I versi dell’Alberti, oramai stanco, sono tutti, nella loro musicalità, capaci di dare ancora il riverbero della passione giovanile.

ALBERICO SALA

Prefazione in occasione della mostra al Palazzo dei Diamanti di Ferrara (ottobre-dicembre 1990), Milano, settembre 1990

La chiave dell’evento (del paziente prodigio), è nei fogli in cui giacciono parola, segno, immagine, colore. La corrispondenza, anzi, una struggente identità con i poeti, ha illuminato, la ricerca di Cristiana Isoleri. Esemplare ricordo, con le liriche di Sandro Penna, elegante e rigorosa, poi proseguita con altri testi. Fin da allora, l’alto magistero si coniugava con l’invenzione e la meditazione, in uno spazio silente: tracce e reliquie cromatiche esaltavano la suprema parola del poeta: “Quando diventano più bianchi i marmi – dei ponti, e sul verde del fiume si accendono i primi – fuochi, l’anima non sa se le parole…”. Un’identica ansia, una lucida inquietudine, una incessante interrogazione hanno accompagnato Cristiana Isoleri. Ora, nella piena maturità, registra capillarmente, nella grafica e nei dipinti , la raggiunta composizione degli estri e delle meditazioni, in una capillare, sensibilissima, trama; un fertile conflitto, fra scatto e ragione, oltre gli inganni e le ambiguità (anche suggestive e suggerenti), tra consunzione e splendore materico. nero oro argento grigio e rosso (ora trionfa anche se coagulato, a volte; non sempre sgronda e si sfrangia sulla memoria della vita), sono i colori dominanti dell’artista milanese. Nella capitale lombarda delle stagioni ormai mitiche di Marino Marini, dei bar percorsi dall’esistenzialismo, dei Dova, dei Bay, dei Peverelli, e , prima, di Achille Funi ed Alik Cavaliere ( i suoi inizi, furono, di scultura) Cristiana isoleri ha filtrato e visto tutto, con una sperimentazione filtrata dal dubbio, da una tensione appartata e coerente, che aggredisce le strutture del reale, le apparenze della forma per scoprire, dentro, dietro, e oltre, le ragioni di una resistenza, il codice conoscitivo e creativo, esatto e misterioso.

ERMANNO KRUM

Corriere della Sera, Milano, 2 gennaio 1996

Isoleri, trame e labirinti per la poesia 

Una trentina di pezzi, dagli anni 7O a oggi, di Cristiana Isoleri (Milano 1926) con tre incisioni tirate da Giorgio Upiglio, per accompagnare altrettante poesie inedite di Mario Luzi. E’ l’occasione per ritrovare questa raffinata artista che ha vissuta la vita milanese della grande Brera storica. La sua grafica (quasi tutte acqueforti) si distingue per l’uso attento della macchia e per una tramatura sottile che, tavola dopo tavola, svela una segreta ricchezza. Come una moderna Penelope, Cristiana Isoleri fa e disfa la sua tela, ben sapendo che, con le stesse molteplici “trame”, si tesse anche un testo letterario. nessuna sorpresa dunque, se poi il suo lavoro incontra spesso le ragioni della poesia. Come si vede nelle tavole (di anni precedenti) per Rafael Alberti e per Sandro Penna. L’artista ricorda la visita all’anziano poeta scomparso, che viveva a Roma solitario e poverissimo. Era arrivata fino a lui per avere qualche inedito da accompagnare con delle incisioni. Nacquero così nel 1978, quelle opere che imitano la “tarlatana”, il tessuto di cotone rado e leggero usato dai tipografi. Come se fosse appoggiato sul fondo pagina, l’artista ne segna le sfilacciature, le irregolarità. Poi su questa stoffa inserisce segni, macchie, piccole isole colorate che sembrano attraversare la superficie del foglio. Più recentemente – e ora con le tavole per Mario Luzi – l’attenzione della Isoleri si è fissata su un altro sistema di righe allineate, come i labirinti. Qui non è più direttamente la poesia ad essere chiamata in causa, ma la conformazione stessa del cervello; Come se quegli ordinati emisferi potessero rappresentare i meandri dentro cui si perde la mente. Di nuovo qualche macchia, qualche zona corrosa, come da una muffa, viene ad interrompere l’ordinato dispiegarsi dell’immagine. In queste “figure” si ritrova lo stesso clima di nitida razionalità, su base informale, che, per esempio, ha reso famoso un milanese d’adozione come Scanavino.

MARIO BORGHI

In occasione della mostra alla Casa Raffaello di Urbino. Il nuovo amico, 25 febbraio 2001

Un percorso artistico dalle pacate armonie

Urbino – Giovedì 15 febbraio, presso le Sale della Bottega Giovanni Santi, casa Raffaello, si è inaugurata la mostra d’arte di Cristiana Isoleri…. Le opere che ho esaminato, acrilici, incisioni, oli, collages e grafica, sono il risultato di un lungo suo “percorso creativo”, che va dal 1971 al 1999. Ciò che è subito evidente nelle opere dell’artista milanese, sopratutto negli acrilici e nelle pitture ad olio, è quel modo intenso di annullare ogni riferimento oggettivo con la realtà. Sono immagini di colore e di luce, sono azioni determinate nella libertà di selezione e di decisione. la capacità eclettica della Nostra, e quindi il rifiuto ad un oggettivo sincretismo, non solo le permette di dare vigore all’impianto cromatico, ma anche di organizzare la struttura informale in modo chiaro e preordinato. Il risultato dei suoi gesti pittorici rivelano l’intenzione e l’eccitazione verso l’Action Painting. Ogni riferimento, tuttavia, a Jackson Pollock con la pittura è però, a mio parere, puramente marginale: Isoleri mostra una organizzazione spaziale, un originale modo di pensare. il suo operare e le sue azioni sono meditate come lo sono le note musicali trascritte sul pentagramma. ogni colore, “ogni nota musicale”, e così che ebbe a dire Kandinsky intorno alla “spiritualità del colore”, è messo al suo posto con equilibrio ed è atto per assolvere un ritmo melodico, costante, oserei dire, di echi e di sonorità classici per forme e armonie. Nella Isoleri, dunque, non convulsione ed esplosione, ma ordine e pacate sonorità nel dolce equilibrio compositivo. (…) In definitiva nelle opere della Isoleri non c’è drammaticità, ma profondo e pacato equilibrio tra forma, contenuto e colore. La Isoleri con le sue opere mostra, quindi, un equilibrio interiore e un controllo gestuale che le opere stesse assumono e rivelano un codice ed un impianto voluti: non c’è dunque rapidità nell’esecuzione del suo procedere artistico, bensì riflessione, razionalità ed infinita fantasia. In alcune opere: le “Trame” siano le stesse stese su un fondo nero o su un fondo colore crema mostrano la profonda sensibilità creativa e il gesto estetico dell’esecuzione: segni e forme che rivelano anche una accesa vitalità artistica e gusto e armonia nell’uso del colore (…) La Nostra sa intuire uno spazio pittorico, materico di ampi spazi ed in evidente espansione. ma che significato hanno le sue opere in un contesto occidentale continuamente rinnovato e dove è stato detto tutto? e’ il suo informale fin dove si spinge? Non è certamente facile ripercorrere i meandri della sua “storia”, delle sue “visioni”, perché la storia e le visioni ci porterebbero a concepire una nostra limitata lettura del messaggio della Isoleri. Invece il senso dell’opera gravita su un’orbita contrassegnata di fulgidi richiami evocati dalla memoria, dove risorgono colori intensi come lo sono il rosso, il nero, l’oro, che prendono determinate forme: oserei dire “psico-forme”. Un artista, dunque, sensibile, misteriosa ed emblematica, capace di porgere le sue emozioni con segni e colori, cercando effetti pittorici nel perfetto equilibrio tra visione e sentimento nella riuscita elaborazione di inusitate e sempre nuove rivelazioni “estetiche”.

GILLO DORFLES

In occasione della presentazione del libro La Messa sul Mondo al Centro Culturale Svizzero di Milano, 8 ottobre 2002

Il fatto che sia uscita ora questa cartella, molto affascinante non solo per gli scritti di Teilhard, ma anche per la incisione di Cristiana Isoleri, è un omaggio veramente significativo a Vanni Scheiwiller, e una consolazione per i suoi amici. Naturalmente non spetta a me parlare di Teilhard de Chardin, il quale, come tutti sanno, è un gesuita che ha avuto una trentina di anni fa un successo straordinario, forse proprio per la sua posizione a cavallo tra un cristianesimo ortodosso e una posizione eterodossa venata di sensualità e misticismo. Quindi queste due radici di un cristianesimo studiato scientificamente e invece assaporato quasi sessualmente, fa di Teilhard de Chardin una figura molto caratteristica, anche se oggi forse un po’ desueta. Ma la cosa più interessante è il fatto che Cristiana Isoleri abbia avuto il coraggio di affrontare l’illustrazione di una cartella come questa. Perché, non è la prima volta che Cristiana affronta dei testi estremamente complessi e di caratteri molto diversi, con le sue illustrazioni, dico “illustrazioni” perché si tratta di incisioni, di acqueforti, di acquetinte, delle tecniche le più svariate; ma quello che le caratterizza, è di essere sempre, anche quando sono totalmente astratte, aderenti al testo e questo credo che sia una delle realizzazioni più difficili; soprattutto ogg, in un epoca dove l’arte contemporanea non è quasi mai figurativa e d’altro canto l’arte sacra non riesce mai ad essere efficace proprio perché o è astratta (e allora non risulta più niente) o è figurativa e allora cade nel kitsch. Invece basta guardare questa cartella di Cristiana per accorgersi che ha saputo interpretare in modo veramente eccezionale il testo di Teilhard de Chardin. Quando Teilhard dice: “Gesù, mio signore, accetto di essere posseduto da voi e portato nell’irresistibile potenza del vostro corpo” come vedete c’è in queste parole una sessualità addirittura morbosa . Addirittura “portato nell’irresistibile potenza del vostro corpo”, quindi non si tratta di una eucarestia è viceversa lui che si “eucarestizza”. E quando poi dice “nel centro del vostro petto non vedo altro che una fornace”: una fornace, non il sangue, non il cuore, una fornace di passione. Ora tutto questo Cristiana Isoleri l’ha reso visibile, assaporabile al pubblico con una tavola che è davvero eccezionale, perché qui abbiamo il corpo di Cristo e nello stesso tempo il sangue, il sangue che esce dal costato, che però è rappresentato soltanto con delle linee completamente astratte; e poi, da una parte, la terra che ha sacrificato il Cristo, dall’altra un cielo già diventato d’oro, quindi già attraversato da una visione serafica, e, in mezzo, una croce d’oro per rendere mistica e, diciamo pure, religiosa questa tavola. Quindi direi che in questa tavola abbiamo una specie di sintesi delle qualità di Cristiana Isoleri: saper adeguarsi a quella che è l’astrazione dominante nella pittura del nostro tempo, e, in un certo senso evadere dalla stessa astrazione attraverso alcuni brevi segni – una croce, delle forme ovoidali, una chiazza sanguinante – che però ricordano anche la “fornace” di Teillard, e quindi mirano a ottenere quello che dovrebbe essere sempre l’arte religiosa: essere iconografica, ma essere anche astratta.

LUIGI SANSONE

Prefazione del catalogo “Cristiana Isoleri - Opera grafica”, in occasione della mostra alla biblioteca Sormani di Milano, novembre 2015

Dopo gli esordi come scultrice Cristiana Isoleri, allieva all’Accademia di Brera di Marino Marini, dalla metà degli anni Sessanta si è dedicata alla pittura e alla grafica e con quest’ultima ha realizzato incisioni (acqueforti e acquetinte) per testi lirici di diversi importanti poeti del Novecento quali Salvatore Quasimodo, Sandro Penna, Rafael Alberti, Mario Luzi, Edoardo Sanguineti, Delfina Provenzali, Roberto Sanesi, inoltre per gli scritti teologici del gesuita Pierre Teilhard de Chardin, filosofo, teologo e scienziato, di cui riproponiamo in questo catalogo l’acuto testo critico di Gillo Dorfles. Proprio di Teilhard è stato pubblicato nelle edizioni Scheiwiller nel 1999 il testo La Messa sul Mondo, tradotto da Salvatore Quasimodo, che include un’ispirata incisione all’acquaforte della Isoleri stampata da Giorgio Upiglio, tra le più mistiche e partecipate della sua produzione di grafica. In essa nel vortice di linee astratte che delineano il costato di Cristo inondato dal sangue del suo sacrificio, ci sentiamo attratti e coinvolti a sprofondare in una unione eucaristica di passione e di amore, che si diffonde su tutta la terra illuminata da raggi e guizzi di luce dell’oro prezioso della Santa Croce. Tra il libri esposti in questa mostra alla Biblioteca Sormani di Milano ricordiamo: L’ombra e la luce, libro con sette poesie inedite di Sandro Penna stampato da Giorgio Lucini nel 1975, con sette acqueforti dell’artista tirate da Giorgio Upiglio, per l’editore Vanni Scheiwiller, e Sicilia con 14 inediti di Salvatore Quasimodo e 3 acqueforti-acquetinte della Isoleri tirate con i torchi di Pierluigi Puliti per l’editore Claudio Nicolodi, nel 2002. Nel primo libro le acqueforti della Isoleri riescono a interpretare nel segno indagatore di un pallido oro la difficile psicologia di Penna nei suoi drammi e nelle sue contraddizioni esistenziali. Nel secondo libro, in Sicilia, Isoleri interpreta e trasmette il fascino dell’atmosfera mediterranea in uno scorcio paesaggistico limitato dal contrasto di una roccia lavica con un vitale mare turchese ed un cielo infuocato di rosse nuvole che sprigionano raggi dorati. Nella seconda incisione, intitolata Fremiti mattinali, domina il bianco sulle ombre della montagna nell’attesa del diffondersi della rossa energia del nuovo giorno. Queste ultime due grafiche hanno il pregio di un sensibile rilievo cartaceo che dona un’efficace preziosa tridimensionalità alla visione del paesaggio. Possiamo concludere definendo Cristiana Isoleri “grafica poetessa” dei poeti, per la sua profonda disponibilità a penetrare, interpretare e captare l’ispirazione segreta che sta alla fonte della poesia.

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